domenica 28 agosto 2011

La striscia di Gaza e gli intoccabili

Siamo arrivati al punto in cui il limite ultimo per me di espansione territoriale coincide con la curva della strada che mi porta a Pont. Oltre quel limite, come giustamente ha osservato Silver, il terreno è minato e, metaforicamente, il chioschista, illuminato da reminescenze geo-politiche, ha definito la zona terreno di conflitti, ovvero "La striscia di Gaza".
Là risiedono gli "untouchables" e per chi abbia mai visto "Il Padrino" di Coppola, non credo siano necessarie ulteriori spiegazioni. Sono la casta eletta, un manipolo di pseudo-politicanti che decidono le sorti del paese.
Detto questo, voglio inserire in questa sede il resoconto di una mia esperienza per chiarire come la "casta" scelga e gestisca i suoi intrattenimenti.
Ho partecipato a una serata alle scuole che aveva come tema la proiezione di un video sull'ascesa all'Aconcagua. Mi sono sorpresa nel dover constatare che gli interventi non sono ammessi se non gestiti come in prima media, ovvero per alzata di mano, con il professore di turno che ti concede di intervenire solo e quando lo decide lui. In una pausa dialogica in cui di permetti di fare un'osservazione (e pure encomiastica, aggiungo) vieni trattata al pari del nemico da eliminare a suon di mitra. Inesistente il senso dell'umorismo, che potrebbe risollevare simili serate dall'ossidata commiserazione per uno scalatore, il quale, dopo aver progettato per un anno una spedizione, si è fermato a 4000 metri perché aveva dimenticato a casa il diuretico. Se non si arriva in vetta, a 6950, come richiesto dalla via del trekking perché si soffre di male d'altitudine, il mondo va comunque avanti. Non è esattamente come perdere una gamba in un conflitto a fuoco mentre stai portardo soccorsi sulla linea di guerra tra l'Eritrea e l'Etiopia. Tutta questa presunzione altezzosa da galli cedroni con la coda spiegata che non riconosce la semplicità e la vittoria di chi lo merita (ovvero di chi veramente la vetta se l'è conquistata) deve essere messa a tacere. Ma già. Chi arriva per primo merita solo un filmato di venti minuti. Chi non arriva, invece, si gode il plauso delle folle e gli abbracci di tronfi palloni gonfiati biondi della casta locale. Se è lecito citare Sant'Agostino (e scomodiamo pure un santo per le intemperanze da andropausa di uno scalatore) se ti dai tanto da fare per conquistare una cima, ti inerpichi, sali, fai tanta fatica, e poi non riesci a trovare te stesso, che senso ha?
Per questa citazione devo ringraziare Ivano Pallua.
La sintesi del mio discorso è che si possono apprezzare idealmente le capacità di una persona, come quelle di un alpinista, che sono indubbie, perché lassù, o a metà della strada o ovunque si trovi prima di conquistare la cima, ha una visione del creato che io non avrò mai, che io potrò solo IMMAGINARE.
La cesura sta nel fatto che per quanto grande, ammirevole, ammirato e prode possa essere l'alpinista, se lo liberi da atrezzatura e scarponi, il più delle volte, resta solo un uomo. E spesso un uomo mediocre.
Mi sono dovuta, amaramente, convincere di questo. Per cui, rivolgendomi a quanti sanno  a chi è indirizzato questo scritto, comunico che mi sono liberata della mia ossessione. Non ci sono sentieri, né ce ne saranno mai, che da Firenze possano condurre sul Col di Lana.

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